Il Progetto Formazione e Tradizione di Frate Indovino
Belém do Alto Solimões è uno dei più grandi villaggi Ticunas dove i Frati Cappuccini vivono e condividono con gli indios ogni aspetto della loro vita quotidiana.
Da sempre i Frati Missionari Cappuccini sono stati attenti a mantenere le tradizioni indigene.
Uno degli obiettivi che si pone il “Progetto Formazione e Tradizione” di Frate Indovino è proprio quello di educarli alla riscoperta e alla cura delle loro origini.
I Frati Missionari Cappuccini, infatti, da qualche anno organizzano a Belem do Solimões il Festival dì Cultura Indigena, le Olimpiadi Indigene, corsi di artigianato, scuole di musica e altre attività per e con i giovani del posto, con l’obiettivo di offrire loro una qualificata formazione professionale.
Il sostegno al “Progetto Formazione e Tradizione” è importante da un lato per l’educazione dei giovani e dall’altro per continuare a difendere e promuovere la cultura indigena dell’Amazzonia!
Notizie storiche
Belem significa Betlemme, e mai nome fu più indovinato per un villaggio che della cittadina di Giuda ha la fisionomia e l’importanza.
Belem do Solimões è per i Tikunas quello che è Betlemme per i cristiani: un centro spirituale di prim’ordine, una di quelle parole con le quali si prega.
Come e perché Belem sia diventato il centro spirituale dei 15.000 Tikunas nessuno lo sa, anche se la storia del villaggio non si perde nella notte dei tempi.
Le notizie certe, infatti, risalgono al 1870, quando alcuni Francescani italiani aprirono quì la Missào do Caldeifào (dal nome di una vicina località malsana), restandovi solo per un decennio, perché decimati dalla malaria e da altre malattie tropicali.
Ma il luogo era troppo importante e ricco (relativamente) perché qualcuno non vi buttasse gli occhi.
I Tikunas, disseminati lungo gli igarapés Belem e Tacàna, vi confluivano in massa, rovesciando sul mercato gomma, zucchero, cachaça (un liquore molto alcoolico fatto con canna di zucchero) e pesce, per cui il colonnello portoghese Romualdo Mafra comprò tutta la zona, costruendovi una chiesina dedicata a S. Francesco d’Assisi in sostituzione di quella costruita dai Francescani e caduta sotto il peso delle piogge.
Nella speranza che i missionari tornassero, vi costruì anche una casetta.
E i missionari tornarono.
P. Giulio da Nove, un cappuccino lombardo aggregato alla Provincia di Assisi, vi si fermò tornando da una faticosa desobriga sul Javary ma, dopo alcuni giorni di permanenza, fu stroncato da un attacco di malaria perniciosa.
Aveva 26 anni.
Il seme, comunque, era gettato.
Infatti Belem (la moglie del Mafra l’aveva intanto chiamata così, sia per la vicinanza dell’igarapé omonimo, sia perché lei era di Belem do Parà) finì negli elenchi delle desobrighe dei missionari, fino a quando il Prefetto Apostolico P. Evangelista da Cefalonia vi costruì una chiesa più ampia e un salone per la catechesi, coadiuvato dal nuovo proprietario Antonio Roberto de Almeida.
Nel 1934 iniziò la costruzione in muratura della chiesa dedicata a San Francesco di Assisi.
La chiesa venne inaugurata il 4 ottobre 1936.
Nel 1935, in occasione del 25° anniversario dell’arrivo dei Cappuccini, giunse il Ministro Provinciale P. Michele da Perugia, il primo Provinciale umbro a visitare la Missione.
La partenza del P. Michele (marzo 1936) lasciò due buoni frutti: la separazione tra le due autorità, quella ecclesiastica per la Prefettura, e quella regolare per i religiosi (frati) fino ad allora concentrate nella persona del Prefetto, P. Evangelista.
Fu nominato superiore regolare P. Domenico da Gualdo Tadino.
L’altro frutto fu la decisione di creare una residenza stabile in Belém do Solimões, dove esisteva la maggiore concentrazione di indios Tikunas.
L’incarico fu affidato al P. Fedele da Alviano, che divenne così il “missionario degli indios”.
P. Fedele da Alviano fu un cappuccino che si fece Tikuna in tutto e che fece conoscere al mondo la lingua e i costumi dei suoi indios, compilando una grammatica e raccogliendo una infinità di notizie sulle tradizioni indigene.
Disse Paulo Xavier:
«Padre Fedele scrisse una grammatica Tikuna.
Un’impresa epica perché le lingue indigene non sono scritte, quindi non hanno dei codici semantici di riferimento.
Ma Fedele era uno studioso di etnologia, antropologia e linguistica.
Partendo dal suono della lingua, riuscì a elaborare una vera e propria grammatica».
P. Fedele veniva a Belem un mese all’anno.
Vi aprì anche una scuola, chiusa però quasi subito perché costruita troppo fuori mano.
Una volta conosciuti, i Tikunas non si potevano lasciar soli.
Dal ’68 al ’91 i missionari fissarono dimora tra gli Indios Tikuna per condividerne la vita.
Approdò a Belem P. Arsenio Sampalmieri, il quale raccolse l’eredità spirituale di P. Fedele, dedicandosi agli indios anima e corpo.
Cominciò ingrandendo la chiesa e abbellendola.
La chiesa fu dichiarata parrocchia nel ’72, e intitolata a San Francesco di Assisi.
Continuò costruendo una bella casa in muratura per gli ospiti (lui viveva in una capanna di legno), aprendo una scuola e dando vita ad altre numerose realizzazioni, preziose per il progresso di tutti.
Nel ’91 la Parrocchia di San Francesco di Assisi è stata consegnata alla Diocesi e la missione è stata chiusa fino al 2006.
Nel 2006 i frati sono tornati a stabilire una fraternità sul posto con l’impegno di padre Paolo Maria Braghini e nel 2007 la missione è stata riaperta.