Via Beato Crispino, 6
01100 Viterbo (VT)

0761 321945

Il Convento

La Chiesa dedicata alla Conversione di San Paolo fa parte del convento dei Cappuccini che venne costruito alla fine del XVI sec. (l’inizio dei lavori risale al 16 novembre 1589). Il complesso conventuale é stato completamente ricostruito agli inizi degli anni Sessanta, previa demolizione del vecchio edificio ad eccezione di pochi ambienti tra cui la chiesa che ha tuttavia subíto,in tale circostanza, profonde trasformazioni, sia nella facciata che nell’interno. I Cappuccini si insediarono a Viterbo nel 1538, costruendo un modesto convento dedicato a S. Antonio a tre chilometri da Viterbo, alle falde del monte Palanzana, su un terreno donato dal card. Nicold Ridolfi, vescovo di Viterbo e Tuscania. Successivamente aprirono un altro cenobio, occupando un’area, detta monte Oliveto, dove sorge l’attuale convento. Si trattava di un modesto fabbricato, con la chiesa, il refettorio ed alcune camerette per i frati. In seguito vennero aggiunte la biblioteca, l’infermeria, altre camerette e locali di servizio. Ulteriori lavori del secolo scorso hanno interessato, in particolare, la chiesa e i locali annessi (sacrestia, coro). Il complesso conventuale fu sede di un’importante infermeria (sino al 1910). Le cronache sono piuttosto puntuali nel riconoscere l’utilità e l’efficienza dell’infermeria, cui facevano riferimento i confratelli (anche delle aree limitrofe) e le persone più bisognose. Dagli inizi del XVIII secolo, l’ “ospedaletto” già godeva di una certa autonomia nei confronti del convento, disponendo di cucina, refettorio e cappella propri. Si ricorreva al “frate infermiere” anche per il miracoloso “Sciroppo del Cappuccino” dalle mille qualita terapeutiche. Il convento è anche stato luogo di studio praticamente senza interruzioni, distinguendosi per l’attivita del Seminario Maggiore dove hanno completato per la formazione spirituale centinaia di giovani sotto la guida di esperti teologi: negli anni più fecondi si sono contati fino a cinquanta professi. Come tutte le case dei Cappuccini, dietro la chiesa si apre un vasto spazio campestre, meglio conosciuto come il “bosco dei frati”. E il tradizionale “arredo” di ogni convento, utile per la raccolta della legna, i
silenzi della preghiera, la ricreazione, il campetto di calcio, il pascolo degli animali e l’orto. L’edificio fu ampliato nel corso dei secoli. Nel 1960 fu completamente raso al suolo (eccetto la chiesa) e riedificato. Del primitivo convento rimane solo la chiesetta, in parte rimaneggiata anch’essa. In chiesa è conservato il corpo di San Crispino da Viterbo, esposto nella seconda cappella a destra, dove era il sepolcreto dei frati. Interessante nell’orto la canalizzazione in peperino per innaffiare gli orti, alimentata dall’acqua che veniva dalla sorgente della Pila e che attraversava la strada sopra l’arco di un ponte abbattuto qualche anno fa: le vasche per l’acqua erano più di una ancora oggi visibili nell’orto a destra della chiesa. Una piccola fontanella con l’acqua della Palanzana, sgorga perenne davanti alla
chiesa. La stalla e il fienile per il mulo e il calesse, erano nel fabbricato attualmente distaccato sul lato che conduce all’orto. Del bosco secolare rimane solo una parte, ma sufficiente per ricordare che nel 1876, dopo la soppressione degli Ordini religiosi decretato dal nuovo Re d’Italia, il bosco era parco di feste, di gare e di giochi equestri.
Ci fu, ad esempio, una grande festa con addobbi e luminarie, a partire da Porta della Verità fino al bosco, in occasione della venuta di Giuseppe Garibaldi a Viterbo. Mense circolari che sviluppavano circa 500 metri per 1.272 persone; alberi e viali ornati, musiche, fuochi d’artificio. Il cronista scrive che si consumarono, tra l’altro, “28 ettolitri di vino, maccheroni per la lunghezza di 7.140 km, 120 marzapani per una superficie di 11 metri quadri per sette cm di altezza. Ai vari servizi erano addette 99 persone”. Anche oggi sono frequenti feste e pranzi, come quelle del raduno dei facchini di Santa Rosa, prima di partire per il trasporto della Macchina della Santa. Dal 1983 la chiesa accoglie le spoglie mortali di S. Crispino da Viterbo, esposto nella seconda cappella a destra, dove era il sepolcreto dei frati. Sempre in chiesa vi è anche la tomba del Venerabile Carlo da Motrone. La chiesa è dedicata alla Conversione di S. Paolo. A partire dal 1969 è sede di uno studentato interprovinciale (con un vario avvicendarsi delle province collaboranti). I giovani teologi cappuccini, che frequentano l’Istituto teologico viterbese, animano varie attività religiose, culturali ed umane sia in convento che nelle varie parrocchie. Nel 2008 il convento è stato sottoposto a radicali interventi di restauro, che ne hanno modificato ulteriormente la fisionomia e la destinazione d’uso. Accanto al Convento si trovano la “Biblioteca San Paolo” e la Casa per ferie “San Paolo”.

La Storia

(Viterbium) Il primo convento viterbese fu quello della Palanzana a tre chilometri dalla città. Nel 1586 il vescovo Gian Pietro Grassi chiese con insistenza alle autorità cittadine di chiamare i frati cappuccini a Viterbo, con esito negativo. Nel 1588 fu costruito per loro il convento di Sant’Antonio di Padova al monte della Palanzana, a circa tre chilometri da Viterbo. Nel 1570 i cappuccini ebbero comunque un piccolo ospizio in città nell’ambito della parrocchia di Santa Maria del Poggio, utile per i frati di passaggio, per quelli malati o per chi doveva sbrigare delle faccende in città. L’11 novembre 1589 fu posta la prima pietra del nuovo convento di Monte Uliveto, non molto distante dalle mura della città. Quì la comunità dei cappuccini fu sempre numerosa, sia perché vi furono concentrati i giovani studenti che si preparavano alla vita religiosa e al sacerdozio, sia perché vi fu allestita una “infermeria” a servizio dei frati anziani e malati. Il frate infermiere dei cappuccini spesso era anche chiamato a curare la gente e la farmacia del convento era, a volte, più fornita di quella della città. I frati furono cacciati dal convento sia dalla Repubblica Romana (1798-1/99) sia da Napoleone (1810) sia dal governo italiano (1875), ma vi sono sempre tornati e vi rimangono ancora oggi, anche se il vecchio convento del 1589 è stato raso al suolo e ricostruito totalmente nel 1964. Il 20 giugno 1982 Giovanni Paolo Il dichiarò Santo Crispino da Viterbo, in quella circostanza i viterbesi chiesero ed ottennero che i resti del loro santo concittadino fossero trasportate nella chiesetta del convento. I frati cappuccini a Viterbo e provincia sono stati sempre presenti nei momenti che hanno scandito la vita della gente, soprattutto nella varie epidemie che colpirono la zona; alcuni di essi rimasero contagiati e morirono di peste o di colera. Erano presenti negli ospedali e nelle carceri, nelle campagne e in città, e assistevano molte associazioni religiose laicali. Hanno assicurato la loro assistenza spirituale ai frequentatori dei bagni nel Bulicame, ai contadini di Respampani, Montecalvello, Monterazzano. Tra i tanti cappuccini nati a Viterbo e a Bagnaia basta ricordare San Crispino da Viterbo, morto nel 1750; padre Luigi da Bagnaia, Ministro generale dell’Ordine dei Cappuccini; padre Mariano da Bagnaia, missionario in Brasile per oltre 42 anni, morto a San Pedro do Turvo nel 188; padre Adriano da Viterbo, (+1882), predicatore, insegnante di filosofia e teologia, che riacquistò il convento di San Paolo dopo la soppressione, lo restaurò e costruì un’infermeria per ireligiosi. Nell’immediato dopo guerra, la chiesa del convento fu costituita in coadiutoria parrocchiale (1 marzo 1943) fino al 19 marzo 1961, quando fu istituita la parrocchia vicina di Santa Maria della Verità.

Arte

Tra le opere d’arte da segnalare nella chiesa e convento viterbesi è giusto ricordare in primis il dipinto raffigurante S. Crispino da Viterbo cui appare la Vergine col Bambino, eseguito nel 1791 da padre Raffaele da Roma (1732-1805), pittore cappuccino. Nello stesso contesto è conservata anche la grande tela recante l’immagine della Madonna con Bambino e i santi Francesco, Paolo, Lorenzo, Rosa da Viterbo, Valentino ed Ilario, opera dipinta da Francesco da Castello nel 1593. Altri quadri tipici dell’Ordine visibili sono la Stigmatizzazione di San Francesco e la raffigurazione di San Lorenzo da Brindisi lotta contro i turchi, attribuito a fra Luigi da Crema (1763-1816) ed eseguito agli inizi del XIX secolo. La chiesa non é stata demolita nei rifacimenti degli inizi degli anni Sessanta, ma ha subito egualmente profonde modifiche (1972) che hanno trasformato il primitivo assetto e reso più ariosi e funzionali gli ambienti del presbiterio e dei fedeli. La vecchia costruzione risaliva al primo decennio del Seicento: venne consacrata l’8 febbraio 1615 dal card. Tiberio Muti come testimonia la lapide posta sopra la bussola della porta d’ingresso. La volta del soffitto é invasa da una grande composizione pittorica ottocentesca raffigurante l’Immacolata circondata da angeli e, ai suoi piedi, quattro santi cappuccini: Felice da Cantalice, Lorenzo da Brindisi, Fedele da Sigmaringen e Serafino da Montegranaro. L’altare, a forma di pira per bruciare le offerte, è progetto dell’arch. Mattini. La prima cappella a destra, detta della Porziuncola, è oggi dedicata a San Crispino raffigurato nella tela dell’altare, dipinta nel 1805 da p. Raffaele Minossi da Roma. Sul lato destro si ammira un arazzo con San Crispino, la Madonna e il Bambino eseguito da p. Ugolino da Belluno nel 1982. È l’arazzo della canonizzazione (1982) vi si trova, inoltre, il dipinto di Fra Crispino in adorazione della Vergine col Bambino di Raffaele Minossida Roma, di fine XVIII sec. La seconda Cappella fu creata nel 1983 per accogliere, proveniente dalla chiesa di Via Veneto in Roma, il corpo di san Crispino, che é conservato dentro I’urna di cristallo e bronzo dorato realizzata dalla argentiere romano Romolo De Persiis nel 1926. II mosaico sullo sfondo é di Ugolino da Belluno. Segue la cappella dedicata alla Madonna della Vittoria costruita dopo la metà del Settecento a spese del viterbese Giuseppe Silvestrelli in ricordo di p. Carlo da Motrone, il cui corpo vi fu traslato nel 1766. L’altare maggiore, formato da vari elementi di peperino, suggerisce l’idea di una “pira” per l’olocausto. La grande pala posta in fondo al coro, di stile classicheggiante, raffigura, in alto, la Madonna con Bambino ed angeli; sotto, un paesaggio con citta turrita (forse Viterbo) e i santi Paolo Apostolo e Lorenzo con i martiri Faustino e Glovita; più in basso, San Francesco d’Assisi e Santa Rosa da Viterbo. L’opera, risalente al 1593, é firmata dal pittore fiammingo Francesco di Castello. Le due cappelle sul lato sinistro sono dedicate a San Francesco e a San Felice raffigurato in una tela eseguita nel 1807 dal viterbese Pietro Papini. Nella terza Cappella é custodito il SS. Sacramento. In alto c’é il quadro originale della Madonna della Vittoria, che padre Carlo da Motrone portava sempre con sé nelle missioni. La cornice e le corone in argento a lastra con lavorazione a sbalzo e cesello, oltre agli altri ornamenti, furono posti forse nel 1765 quando la Cappella venne ristrutturata a spese dell’avvocato viterbese Giuseppe Silvestrelli in ricordo di padre Carlo. Attraverso una porta, alla destra dell’altare maggiore, si accede al salone delle riunioni (un tempo l’antica sacrestia) sulle cui pareti si sviluppa un ciclo di affreschi, realizzato nel 1954-55 da p. Ugolino da Belluno, raffiguranti scene della vita di San Francesco e una crocifissione (parete di fondo) con santi francescani e personaggi che difesero il nascente Ordine cappuccino,oltre ad Alessandro Manzoni che rese celebri alcune figure di Cappuccini. Nell’ultima cappella a destra è sepolto anche il celebre predicatore cappuccino morto in fama di santità padre Carlo da Motrone, il quale, quando gli fu proposto di predicare le missioni a Viterbo per poi tornare a Roma, rispose: “Dove vuole Dio andrò, ma io sono il missionario dei poveri”. E predicò a Viterbo. Sulla volta l’Immacolata circondata dagli angeli, in basso quattro santi cappuccini: Felice da Cantalice, Lorenzo da Brindisi, Fedele da Sigmaringa e Serafino da Montegranaro. Il grande affresco (680×290) é della seconda meta dell’Ottocento.