Convento Santi Francesco e Chiara

Via Borgo Rivera, 2
67100 L’Aquila

0862 26059

ORARIO SANTE MESSE

Convento
Festivi: 08:00, 17:30
Feriali: 17:30

Parrocchia S. Maria del Soccorso
Festivi: 08:30, 11:00

Parrocchia S. Vito
Festivi: 11:00

Cappellania Ospedale SS. Salvatore
Festivi: 09:30, 10:30
Feriali: 17:00

Il Convento

Il Convento di Santa Chiara è la Curia della Provincia Serafica Immacolata Concezione, dopo essere stata ininterrottamente Curia della Provincia Aprutina dal 1919 al 2020. Oltre a ciò, è stata sede dello studentato di teologia per quasi 80 anni e poi luogo di formazione con vari titoli (postnoviziato interprovinciale per circa 15 anni, poi postulato delle Province Cappuccine del centro Italia fino al terremoto 2009). Quindi, un centro strategico per la Provincia Aprutina ieri, per la Provincia Serafica Immacolata Concezione oggi. Ma è stato anche un punto di riferimento di natura affettiva per i frati (abruzzesi e non solo), molti dei quali quì si sono ordinati. Tutti hanno quì trascorso gli anni della formazione e i primi passi del loro cammino francescano. Allo stesso tempo, è un punto di riferimento importante per gli aquilani e per gli abitanti dei paesi vicini. Complice anche anche la sua posizione geografica, che la colloca nel cuore della città, in via Borgo Rivera, la strada che da Via XX Settembre (principale arteria cittadina) porta alle 99 cannelle.

Generazioni di cappuccini sono vissuti a stretto contatto con gli aquilani: dai giovani frati in formazione attivi nei gruppi giovanili e nelle attività liturgiche, ai frati più maturi, parti attive della vita cittadina ciascuno con il loro servizio (nell’ospedale, nel carcere, nelle parrocchie, per anni presso il cimitero), ai frati più anziani, sempre disponibili in convento per una confessione o per un consiglio. Guide sempre presenti in città come fari che illuminano le intrigate vicissitudini quotidiane di ciascuno, facendo luce sui drammi e sui dispiaceri con la loro guida, il loro esempio, la loro parola. Sempre pronti a seminare conforto e speranza in ogni circostanza: in tempi di crisi economica, tra le tende e le rovine del terremoto, nella disperazione e nella paura del tempo del Covid.

Ci sono luoghi che ti raccontano una città. Basta guardarli, entrarci dentro, parlare con le persone che li abitano, calarsi per qualche momento nella riflessione e nella contemplazione. Dopo che ci sei stato ti danno l’idea dell’assoluto, vorresti non andare più via. È questa l’impressione che ho avuto quelle rare volte che sono stato nei dintorni del Convento di Santa Chiara, la casa dei Frati Cappuccini”.

Così scrive il giornalista aquilano Giustino Parisse ne “Il frate volante”, il libro che ha dedicato a p. Onorato Maria da Caporciano, dando voce al sentire di molti aquilani. Si, perchè Santa Chiara è sempre stata quell’oasi di pace, quell’angolo di paradiso nel cuore della città, in cui immergersi, se pur per pochi minuti, prima di lasciarsi assorbire dal logorio delle faccende quotidiane. Quell’atmosfera di assoluto e di pace celestiale in cui recuperare il senso delle cose e la direzione da seguire. Un luogo sicuro, in cui entri e ti lasci i problemi alle spalle. E poi i frati, icone viventi dell’aiuto e dell’intervento di Dio nella vita dei suoi figli, con la loro spiritualità e allo stesso tempo la loro concretezza e il loro senso pratico.

Il segreto di tanta spiritualità va certamente ricercato nel carisma dei Cappuccini, ma forse anche nell’eredità spirituale di un luogo che vanta ben otto secoli di storia ed in cui per più di cinquecento anni son vissute le Monache di Santa Chiara che, con la loro preghiera, la loro contemplazione, la loro intercessione sono state un faro e un appoggio per l’intera città. Ancor prima che venisse fondata L’Aquila, il complesso monastico già fungeva da cardine della spiritualità per gli abitanti del territorio. Lo è stato per secoli. E continua ad esserlo ancora oggi!

Flussi di aquilani sono passati per il confessionale di Santa Chiara per trovare perdono e misericordia, rifugio e conforto, anche religiosi e vescovi. Chi non ricorda Padre Anacleto o Padre Costanzo, che riusciva a leggerti dentro, un Leopoldo Mandic con il dono della scrutazione dei cuori?

E quale aquilano non ha a cuore l’Immacolata Concezione, la stele che si erge sul piazzale del convento e che ogni anno riceve la commozione e il rispetto, anche dai fedeli più tiepidi, nell’omaggio floreale che a Santa Chiara si ripete ogni 8 dicembre e che ha una valenza civile, oltre che religiosa?

Custodi di una fetta di aquilanità, con il loro servizio e la loro presenza nei vari ambiti della vita cittadina, i frati di Santa Chiara hanno contribuito a scrivere la storia del Capoluogo. E continuano a farlo.

Oggi i frati sono presenti presso i reparti e la cappella dell’Ospedale Civile de L’Aquila, e prestano servizio presso le parrocchie di San Vito alla Rivera e Santa Maria del Soccorso. Celebrano la Santa Messa anche presso vari istituti di suore in città, tra cui le Monache Benedettine Celestine del Monastero di San Basilio.

Sul piazzale del convento, si affaccia la Biblioteca Santa Chiara, aperta al pubblico, che dispone di decine di migliaia di volumi e in cui è presente la ruota delle Monache, segno della loro presenza secolare nell’ex-monastero. Invece all’interno, ad uso dei frati, c’è una ricca biblioteca antica, che vanta un buon numero di volumi del Cinquecento, del Seicento e del Settecento.

Prima del sisma, il convento custodiva pregevoli opere d’arte, alcune delle quali restaurate e rientrate, altre in attesa di riprendere posto nella loro collocazione originaria.

Il terremoto del 2009 che ha flagellato l’intera città non ha risparmiato il Convento, interamente ricostruito e ribenedetto nel 2016.

Nel corso della ricostruzione, gli scavi archeologici hanno portato a interessanti scoperte, tra queste la presenza di botteghe ceramiche che attribuiscono al Convento un ruolo di produttore di maioliche nel periodo non religioso che si frappone tra gli anni di presenza delle monache e il momento in cui i frati hanno riscattato l’edificio.

La chiesa non è ancora agibile e si celebra nella Sala Santa Chiara, adiacente al piazzale, per anni utilizzata per le tante attività dei vari gruppi ecclesiali e degli stessi frati, ed ora adibita ad aula liturgica.

Il coro, completamente distrutto, non è stato ancora ricostruito e al suo posto è stata temporaneamente allestita una cappella per la preghiera dei frati.

Sono invece state restaurate le statue che adornavano la chiesa.

In particolare, la statua della Madonna, tanto cara alla devozione dei fedeli che frequentano Santa Chiara, é stata abbellita con una nuova illuminazione che ne esalta l’aureola.

La storia

La fondazione del Convento dei Santi Francesco e Chiara si intreccia con la fondazione della stessa città de L’Aquila e il complesso monastico è cornice e testimone di secoli di vicissitudini e storia cittadina che vede l’avvicendarsi di religiosi e civili di ogni epoca, passando dalla sacralità della vita monastica alla brutalità dei conflitti, alla distruzione ad opera dei terremoti, agli albori, ogni volta, di una nuova rinascita.

 

Fondazione

Il Convento di Santa Chiara ha origini più remote della stessa città de L’Aquila. Venne costruito attorno alla Chiesa di Santa Maria d’Aquili, fondata nel 1195, per mano delle monache di alcuni monasteri del contado. Mutò il nome in Santa Chiara nel 1333.

 

Il periodo monastico

Dal 1300 fino alle soppressioni napoleoniche del 1800, Santa Chiara è stato il Monastero delle Clarisse, che vivevano secondo la Regola di Santa Chiara e le costituzioni urbane. Generazioni e generazioni di monache, molte di esse provenienti da importanti famiglie aquilane,  per secoli hanno costituito un modello ed un riferimento per la vita sociale e spirituale della città.

 

Il periodo non religioso

È il periodo compreso tra il 1811 (anno in cui furono allontanate le suore) e il 1879 (anno in cui entrarono in scena i frati cappuccini). Scacciate le monache, i soldati del Re di Napoli fecero dell’ex Monastero un insieme di rovine e un edificio in progressivo decadimento. Ma i recenti scavi archeologici hanno rilevato che in questo periodo il convento è divenuto un centro di produzione di maioliche e ha visto la presenza di vasai anversani e castellani.

 

I frati comprano Santa Chiara

I frati entrano in scena nel 1879 grazie al Ministro della Provincia Aprutina, p. Filippo da Tussio.
Convinto il Ministro generale dell’opportunità dell’acquisto dell’ex monastero e con il concorso di tutti i frati della Provincia, p. Filippo stipulò il contratto di acquisto e provvide ai primi lavori di restauro, per riaprire ufficialmente l’ex monastero come convento cappuccino il 4 ottobre 1879.

 

Il periodo cappuccino

Dopo i primi lavori di restauro, i frati portarono a Santa Chiara gli studentati di teologia e di filosofia, rendendo il convento luogo di formazione per l’intera Provincia. Nel 1919 divenne Curia Provinciale, divenendo un centro strategico per l’intera Provincia Aprutina.

La Stele dell’Immacolata Concezione

La festa dell’Immacolata Concezione rappresenta un evento importantissimo per i frati, essendo l’Immacolata la patrona dell’Ordine.
Tanto più da quest’anno, per la nuova Provincia , di cui l’Immacolata Concezione é titolare!

A L’Aquila, alla celebrazione squisitamente religiosa, si unisce la commemorazione del bombardamento del 1943.

La stele con la statua dell’Immacolata Concezione presente nel Piazzale Santa Chiara fu innalzata proprio per ricordare la tragedia che si ebbe nel 1943 il giorno della Festa dell’Immacolata Concezione.

27 aerei americani, divisi in 3 squadriglie da 9 apparecchi ciascuno, bombardarono lo scalo ferroviario de L’Aquila, la vicina Officina Carte e Valori della Zecca dello Stato de L’Aquila e il Borgo della Rivera.
Trovarono la morte 19 dipendenti della Zecca, 17 aquilani che si trovavano nella zona tra i quali 2 dispersi, 150 militari tedeschi ed un numero imprecisato dei 350 prigioneri anglo-americani che i tedeschi avevano rinchiuso nei vagoni piombati come scudi umani proprio per scongiurare il bombardamento.
Nella tragica circostanza i frati di Santa Chiara uscirono dal convento e si precipitarono sul posto a prestare soccorso ai feriti.

L’8 dicembre di ogni anno, intorno alle ore 15, i frati, le autorità civili, militari e religiose, il presidente ed i rappresentanti dell’Unitalsi, e un nutrito gruppo di fedeli si riuniscono e, alla presenza dell’Arcivescovo de L’Aquila, si svolge una breve ma intensa cerimonia che si conclude con l’omaggio floreale alla Vergine, in segno di affetto alla Madonna e in ricordo alle vittime del bombardamento.

Immancabile e preziosa é la collaborazione dei Vigili del Fuoco e toccante il momento in cui, alzata la scala, uno di essi porta una corona di fiori ai piedi della statua della Madonna e, al suono della sirena, fa il saluto alla Vergine.
A conclusione la Santa Messa officiata dall’Arcovescovo o dal Ministro Provinciale.

Prima del sisma, la festa era preparata da una bella Novena dell’Immacolata, particolarmente cara agli aquilani, che, a partire dal 29 Novembre, si svolgeva tutte le sere alle 21, e coinvolgeva i principali gruppi ecclesiali della città.

Ciascun gruppo animava la serata con canti, meditazioni e preghiere per la festa secondo la propria spiritualità.
La serata del 7 era animata dai frati.
Il freddo pungente delle serate dicembrine aquilane, spesso contornate da nevicate e gelate, non hanno mai frenato l’afflusso dei fedeli che durante la novena hanno sempre riempito la Chiesa di Santa Chiara in omaggio alla Vergine.

Quando nacque la tradizione dell’omaggio floreale alla Madonna e per tanti anni ancora, i fedeli potevano vedere un aereo che sorvolava un po’ avventurosamente la zona del convento e che riversava dal cielo sulla stele una pioggia di fiori.
Lo pilotava “il Frate Volante”, così lo ha chiamato il giornalista aquilano Giustino Parisse che gli ha dedicato un libro dal titolo omonimo.

Padre Onorato Maria da Caporciano nutriva una bella devozione alla Madonna.
Cappellano delle carceri de L’Aquila dal ’56 al ’74 e cappellano dell’Unitalsi dal 1958, ha accompagnato per tanti anni fedeli e malati ai Santuari della Madonna di Lourdes e Loreto, qui venerata come patrona degli aviatori.

Padre Onorato ha contribuito, insieme ad altri confratelli, tra i quali i già Ministri Provinciali p. Sebastiano Santella da Ateleta e p. Antonio Spadaccini da Serramonacesca, alla realizzazione della stele con la statua dell’Immacolata Concezione, progettata dall’ingegner Umberto Perinetti.

E dal 1961 l’Immacolata Concezione si erge benigna sul piazzale del convento.
Riceve ogni 8 dicembre i suoi omaggi floreali.
Non più dall’alto di un aereo come quando c’era il Frate Volante, ma sempre da cuori devoti e fiduciosi nel suo amore di Madre.

L’Arte

Gli affreschi del XVI secolo

La Pietà è dipinta ed incorniciata in una nicchia dell’antisacrestia. Non si conoscono l’autore e la data. Può essere attribuita ad un pittore del seguito di Francesco di Montereale. Al centro della scena la Madonna che ha tra le braccia Gesù deposto, quì circondata da due personaggi con l’aureola. I due personaggi potrebbero essere San Giovanni e Maria di Màgdala, il cui culto si diffuse nell’Occidente dal XI secolo e che è stata spesso raffigurata, a partire dal Medioevo, con i capelli lunghi sciolti, spesso biondi, identificata con la donna peccatrice  che aveva asciugato i piedi del Signore con i suoi capelli.
I capelli lunghi e sciolti erano un’allusione alla condizione di prostituta in quanto le donne per bene andavano in giro con i capelli raccolti.

La Deposizione dalla Croce è situata nel corridoio di ingresso del Convento. Non è noto l’autore e dalle fattezze del dipinto si presume che sia stato realizzato nel ‘600.  Probabilmente l’autore è un seguace di Saturnino Gatti. L’affresco raffigura l’immagine della deposizione dalla croce del Signore. Nella scena sono presenti la Madonna, San Giovanni ed altre due donne. Secondo i sinottici, Maria di Màgdala e Maria madre di Giacomo e Giuseppe erano presenti sia al momento della morte che alla sepoltura di Gesù. Non si dice che fosse presente anche la Madonna. Il Vangelo secondo Giovanni riporta invece che stavano presso la croce la Madonna, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala e, accanto alla Madonna, il discepolo che Gesù amava, cioè San Giovanni. La deposizione avvenne ad opera di Giuseppe di Arimatea, che si occupò anche della sepoltura.
Si può dunque assumere che l’autore si fosse ispirato al brano evangelico del Vangelo secondo Giovanni, in cui sono presenti la Madonna e San Giovanni, e che le due donne della scena fossero Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.

L’affresco è attribuito a Francesco di Montereale, pittore aquilano tra i più apprezzati del suo tempo ed autore di numerose opere presenti in altre chiese aquilane e nel Museo Nazionale d’Abruzzo. Si trova nell’ex oratorio delle Clarisse, successivamente trasformato in sacrestia. In particolare, è collocato su un altare all’interno di una raffinata edicola lapidea. La scena riporta sulla sinistra la Madonna, San Giuseppe e Gesù, con l’aureola, e sulla destra i magi. Singolare la presenza dei 3 cavalli alle spalle dei Magi, al posto dei cammelli, che potrebbero alludere ai 3 cavalli dell’Apocalisse di colore bianco, nero e rosso fuoco. Sullo sfondo i tipici personaggi del presepe: si intravedono il bue, i pastori ed il caratteristico paesaggio campestre che accompagna tradizionalmente le scene della Natività. Contiene un’iscrizione che ricorda la committente “Sora Iovannella.

I dipinti

L’Adorazione dei Pastori di Giulio Cesare Bedeschini è una tela della chiesa di Santa Chiara. Ad essa lo storico Emidio Mariani si riferisce con il titolo di Natività. È un dipinto convincente per l’organizzazione degli spazi e il preciso scalare dei piani e piacevole sia nella trovata del pastore che entra in scena con un grosso cane, sia per il gioco dei chiaroscuri e delle luci intense che si smorzano dolcemente sul vecchio villano inginocchiato. In un quadro attento alla caratterizzazione dei personaggi — si noti l’astante che fissa compiaciuto lo spettatore dallo sfondo, forse un autoritratto — colpisce l’assoluta semplificazione del viso della Vergine. Simili esempi ricorrono spesso in Bedeschini ed è difficile pensare che non ci sia qualcosa di studiato in questa ostinata distillazione delle forme, una scelta stilistica coerente di “normalizzazione espressiva” che non risparmia neanche i personaggi dalle fattezze più curate (basti pensare alla serie dei santi protettori dell’Aquila). Nel Bedeschini maturo beati e manigoldi, regnanti e poveracci hanno quasi tutti la stessa aria assorta e trasognata ed attendono ai loro compiti iconografici senza che un sopracciglio inarcato o un muscolo contratto guastino maschere imperturbabili, intonate a un mondo di forme nitide e di luci intense, messe a servizio dello squillo di un colore o dell’esaltazione di una stoffa preziosa.

 

Le statue restaurate

Le statue raffigurano il Sacro Cuore, San Giuseppe con il Bambino e la Madonna, in gesso, e S. Antonio di Padova, in cartapesta. Il restauro è avvenuto grazie a Martina Trombelli, volontaria delle G.E.V. (Guardie Ecologiche Volontarie) di Bologna, e all’Associazione “La Mano del Cuore”, che collabora con i Cappuccini dell’Emilia-Romagna aiutandoli nelle loro missioni in Etiopia. Le statue della Madonna e San Giuseppe erano completamente senza le teste. Difficile da restaurare, date le sue cattive condizioni, era il Sant’Antonio, considerando anche che la cartapesta è una tecnica che ha bisogno di molta mano d’opera. Il racconto del restauro attraverso le parole del professore Federico Capitani dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.

“Raccontare lo stato in cui sono arrivate all’Accademia è cosa da poco, il terremoto non aveva lasciato alcuna speranza di recuperarle. Alcune avevano subito un danno minore ma non per questo di minore rilevanza. Alcune sono state in parte ricostruite. Alcuni dei dettagli che facevano parte prima delle sculture sono stati persi, finiti chissà dove sotto le macerie del terremoto. Quindi si è dovuto ricostruirle nuovamente adattandole a quella che era la forma originale, unendole in un’unica visione fatta di sensibilità e spirito storico. Il concetto che ci ha spinto è quello di restituire loro una vita, di poterle contemplare nuovamente senza per questo vederle troppo diverse dal loro stato originale. La sensibilità è un fattore importante per chi restaura, non sempre il ricongiungimento di parti del tutto riesce a dare l’idea di ciò che si sta compiendo. Oltre al dettaglio bisogna guardare la forma complessiva, e a questa bisogna attribuire una consapevolezza storica, quella che in termini filosofici si chiama spirito del tempo. Ecco, senza questa visione nessun restauro può essere realizzato efficacemente, e anzi al contrario si perderebbe quell’atmosfera con cui le sculture furono concepite, quella dedizione per l’insieme, perché ognuna di esse apparteneva ad una nicchia ed ogni nicchia apparteneva alla chiesa. Se si vuol darle un ampio respiro alle sculture sono necessari questi concetti. Bisogna vederle nell’insieme perché fanno parte di un tutto che per disgrazia è stato distrutto dal terremoto.”

La ditta che aveva realizzato le statue, e che quindi poteva fornire gli stampi che consentissero di recuperare dall’originale ciò che era stato distrutto, non c’era più.

“Era stata rilevata da un’altra e questa non possedeva le copie dell’originale ma altre forme che non restituivano all’artista che le aveva concepite all’inizi del Novecento quella morbidezza del panneggio e quella sensibilità del modellato che le rende così notevolmente belle. Il lavoro quindi doveva andare avanti senza una copia dell’immagine. Abbiamo dovuto svolgere questo ruolo guardando alle nostre competenze e capacità nel risolvere problemi che il recupero di opere d’arte può comportare. […] Nel disastro di un evento sismico c’è la speranza di una ricostruzione, sia materiale che spiritualeLe esperienze anche se dannose e avvilenti possono rivelarsi costruttive ed efficaci se affiancate da un contributo comune, poiché è sempre la comunità l’oggetto del sacrificio umano. Non avremmo mai potuto restaurare le sculture se non con l’aiuto di un paesino del bolognese, con la caparbietà di Martina, con l’esperienza dei miei colleghi, con l’interesse e la devozione della gente di L’Aquila. La vera soddisfazione è proprio quella di aver fatto parte di un tutto che si è raccolto attorno a questo intervento e lo abbiamo saputo portare tutti a buon fine.”