Convento San Crispino

Località Cappuccini, 8
05018 Orvieto Scalo (TR)

0763 341387

Il Convento

La chiesa del convento è dedicata a S. Bernardo Abate e a S. Crispino da Viterbo. Inizialmente concepita priva di cappelle, è coperta con una volta a botte a tutto sesto ed è priva di finestre. E’ stata abbattuta la parete che divideva la chiesa dal coro per i religiosi e vi è stata posta la pala d’altare che raffigura l’Immacolata Concezione, proveniente dall’ex convento dei cappuccini di Bagnoregio. Il complesso conventuale è predisposto per l’accoglienza di gruppi e di famiglie che avvertono il bisogno di un momento di quiete e di pace. Il Convento è intitolato a San Crispino da Viterbo, che vi visse per 38 anni con l’ufficio di frate cercatore. Ad Orvieto frate Crispino, a motivo del suo ufficio di questuante, non viveva sempre in convento, che era distante dal centro abitato e raggiungibile attraverso un sentiero scosceso, ma in una casupola dentro le mura della Città, a stretto contatto con la gente, nell’attuale via Clementini, a ridosso di Palazzo Viti, l’Ospizio di Fra Crispino. Girando per città e campagne dell’orvietano, conosceva tutti e tutti lo conoscevano. Riceveva da tutti e tutti ricevevano da lui. Era l’amico atteso e desiderato, che portava la letizia del suo cuore semplice, la parola di Dio e quella dei poeti, specialmente del Tasso (“Gerusalemme Liberata”), di cui conosceva a memoria i canti più significativi. Portava anche, secondo la tradizione cappuccina, le erbe da lui coltivate nell’orto del convento. Dietro la porta della sua cella aveva scritto la lista dei luoghi nei quali passava periodicamente. Vi si leggono i nomi di Ficulle, Porano, San Vincenzo, Baschi, Castel Giorgio, Prodo, Sala, San Vito, Castel Rubello, Sugano, Torre Alfina, Monterubiaglio ed altri. In fondo all’elenco aveva scritto: “Vivi sano e dal peccato sta lontano”. Ad Orvieto succedeva di frequente di trovare un neonato lasciato di proposito davanti al convento o all’ospizio di Crispino in città. Il fraticello viterbese lo raccoglieva, con grande cura lo avvolgeva nel suo mantello e lo portava all’ospedale di Santa Maria della Stella. Successe che una volta dal suo mantello s’intesero uscire dei pianti di un bambino; alla gente sorpresa disse: Ecco che questa notte Crispino ha partorito; ecco il figlio di fra’ Crispino!

Il Convento è anche sede della Vice Postulazione del Servo di Dio Gianfranco Maria Chiti, il “frate militare”. Comandante del Quartier Generale del Comando delle Forze Armate a Mogadiscio, in Somalia, qui, una notte, nel 1953, sorprese i suoi militari che in una tenda ascoltavano la Radio. Mancanza gravissima.
Saputo, però, che stavano sentendo il messaggio di Pio XII che, con l’Enciclica “Fulgens Corona Gloriae” dell’8 settembre 1953, indiceva l’anno mariano per ricordare i 100 anni del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, li impegnò a costruire una cappellina in onore della Madonna e scrivere sul portale d’ingresso le parole dell’Enciclica: “Fulgens Corona Gloriae”. Chi va nei luoghi dove è stato di residenza il Chiti, sia da militare sia da frate cappuccino, trova una cappellina dedicata alla Madonna e, quasi sempre vi si legge quella scritta. Nel convento dei cappuccini di Orvieto questa edicola l’ha voluta proprio davanti alla porta della chiesa. Inoltre, qui, fece in modo che gli archi di rampicanti che costeggiano il viale che porta alla grotta di Lourdes formassero una continua serie di M (iniziali di Maria).

In convento si trovano la tomba di fra Paolo Porano e l’edicola a lui dedicata. Frate Paolo nacque a Porano, nella diocesi di Orvieto, verso il 1557, dalla famiglia Bruti. Vestì l’abito dei cappuccini a Tivoli verso il 1577. Da Tivoli fu mandato in qualità di Lanino nel Convento di Orvieto, dove allora si lavoravano i panni per tutti frati del Lazio. Scardava, filava, tesseva la lana con tanta diligenza – scrive il suo biografo – che poco dopo il P. Provinciale lo fece Capo e Direttore di quel Lanificio. Altri frati cappuccini artigiani si son fatti santi così. Felice da Cantalice, Serafino da Montegranaro, Bernardo da Offida, Crispino da Viterbo, Bernardo da Corleone hanno raggiunto la santità esercitando l’attività di cucinieri, ortolani, cercatori e portinai. Fra Paolo da Porano raggiunse la santità facendo il mestiere di lanino ad Orvieto per circa 40 anni. Il lanificio lo teneva occupato tutta la giornata e con l’esempio precedeva nel lavoro tutti gli altri, evitando i rimproveri e i richiami non strettamente necessari. Sapeva essere allegro e gioviale, ma esigente verso gli oziosi e gli sfaticati. Aveva come dipendenti molti frati che lavavano, tessevano e filavano la lana per le vesti dei frati. Dicono le cronache che “verso tutti aveva una squisita delicatezza”. Gli orvietani e gli abitanti dei dintorni lo chiamavano “il Santo”. Si racconta che una volta fu visto volare dal fondo della chiesetta dei cappuccini di Orvieto, verso l’altare dove era il tabernacolo, gridando: aspettami, aspettami!  Si racconta ancora che un giorno incontrò un carbonaio, disperato per la morte del suo cavallo. Frate Paolo cercò di consolare l’uomo, poi sferrò un calcio al cavallo, che balzò in piedi più vivo di prima. Morì ad Orvieto il 18 aprile 1617La sua tomba divenne subito meta di pellegrini che chiedevano ogni sorta di grazie. Nel 1628 i suoi resti furono riesumati e si trovò che il corpo era flessibile ed integro. Fu trasportato e collocato in un modesto monumento nella parete sinistra della chiesa del convento, presso l’altare maggiore.