
Fr. Francesco da Bergamo
Venerabile
Α: 1536
Ω: 2 ottobre 1626
Cenni biografici
Francesco Passeri nasce a Berbenno (Bergamo) nel 1536. Venuto a Roma per motivi di lavoro, conosce San Filippo Neri e lo sceglie come direttore spirituale. A lui confida il desiderio di farsi cappuccino, ma viene sconsigliato a motivo della sua costituzione fisica non adatta ad una vita troppo austera. Però, dopo un anno di insistenze, lo aiuta ad entrare nel noviziato di Tivoli (17 marzo 1560). Nel 1565 è ordinato sacerdote. Per circa 40 anni viene eletto superiore in quasi tutti i conventi del Lazio, spesso con l’incarico aggiunto di maestro dei novizi. Per otto anni gli viene affidata la cura spirituale di due monasteri di clarisse cappuccine, prima a Roma poi a Siena. Muore a Roma il 2 ottobre 1626. Gli eventi miracolosi nella sua vita sono così numerosi che il papa Urbano VIII ordina che si istruisca il “processo informativo” immediatamente. La Causa di beatificazione però sarà introdotta soltanto il 24 settembre 1785. Il suo corpo è conservato in un antico sarcofago di marmo a Roma nella chiesa dei Cappuccini in via Vittorio Veneto, 27.
Pensieri del Venerabile Francesco da Bergamo
- Sarei contento che fossi messo in noviziato ad imparare, anziché esser guardiano e insegnare ad altri.
- Quanto al vivere o morire, io non voglio, né desidero altro che la semplice volontà e la gloria di Dio.
Il frate che pregava con gli Angeli
Mentre a Roma i Cappuccini sono riuniti per scrivere le prime regole del nascente Ordine (1536), a Berbenno di Bergamo nasce Francesco Passeri.
Trasferitosi a Roma, chiede di entrare tra i Cappuccini e, al termine degli studi, viene ordinato sacerdote nel 1565.
Trascorsero appena quattro anni e fu eletto guardiano a Monte San Giovanni Campano (FR ) in un periodo di grande carestia.
Ordinò ai frati che di ogni pane disponibile in convento si facessero quattro parti: una doveva essere data ad ogni povero che veniva a chiederlo.
Un giorno, l’addetto al pane, fra Francesco da Priverno, gli disse che non c’era pane sufficiente nemmeno per la colazione.
Insieme andarono in dispensa per controllare e la trovarono ricolma di pane.
Il fratello sbigottito gli disse: “Ma prima non c’era!“
Dio provvederà
Anche nel convento della Palanzana (VT), padre Francesco rassicurò il frate cercatore, preoccupato che in quell’anno di carestia 1591, portava in convento poco pane, che veniva distribuito a i poveri, secondo l’ordine espresso del padre Guardiano.
Gli disse: “Non vi perdete d’animo, continuate a fare le elemosine: Iddio provvederà”.
Lo stesso frate racconta che una mattina non c’era nemmeno un pezzetto di pane, ma il padre Guardiano gli disse di “stare di buon animo”.
In tarda mattinata “venne un viterbese con una bestia con un sacco di pane ordinario e un so che pesce”.
Voleva che nessun povero andasse via dal convento a mani vuote.
Esigeva, inoltre, che fosse dato loro il pane migliore, perché “non è conveniente che i poveri abbiano lo scarto”.
In quel convento c’era un orto grande ben coltivato.
Il frate ortolano si accorse che ogni sera un vecchietto entrava di nascosto nel convento, prendeva quello che voleva dall’orto dei frati, lo cuoceva e lo mangiava insieme ai quattro figli: incerto sul da farsi, andò da padre Francesco.
Con grande sorpresa si senti dire che non doveva rimproverarli, anzi doveva offrire loro due pagnotte di pane e invitarli a mangiare tutto quello che volevano, ma non dovevano portar via niente.
Il lato migliore
Era portato a cogliere il lato positivo nelle persone e negli avvenimenti: nessuno lo sentì dare giudizi negativi, criticare il comportamento di qualcuno, come anche mai fu notato in lui un minimo atto di impazienza.
L’amore per il prossimo, specialmente verso i poveri e i malati, è un dato costante della sua personalità.
Per recarsi in visita agli infermi che ne facevano richiesta, anche da vecchio, affrontava faticosi viaggi a piedi.
Ma se richiesto da nobildonne o personaggi altolocati, faceva capire che non andava volentieri.
Un episodio ci mostra fino a qual punto giungeva la sua capacità di comprendere e perdonare.
Un signore molto potente, per motivi di interesse, aveva ucciso un fratello del cappuccino.
Poi, per sfuggire alla giustizia, aveva abbandonato la Lombardia ed era andato a stabilirsi proprio a Viterbo, dove il servo di Dio era guardiano.
Saputo dell’arrivo, andò a fargli visita e lo perdonò.
Gli mandava verdure e frutta dell’orto del convento, e più d’una volta accettò l’invito a pranzo.
Particolarmente affettuoso e intenso era il suo rapporto con i confratelli.
Svolgeva il suo ufficio “con ogni carità e fedeltà ed essendo superiore più volentieri serviva che comandava”.
Un suo novizio testimonia che “tutti i suoi ragionamenti erano di cose di Dio, ci insegnava a servirlo e ci esortava ad essere fedeli avanti Dio e agli uomini”.
Un altro racconta: “Non mi ricordo d’averlo mai veduto alterato, era sempre paziente, umile e devoto”.
Il minimo indispensabile
La sua austerità ha dell’incredibile.
Mangiava pochissimo, contentandosi di qualche cucchiaio di minestra e di un po’ di pane e verdura cruda o di una noce, una cipolla, un frutto.
Non mangiava mai carne o pesce.
Sull’esempio di San Francesco, manteneva il digiuno stretto per cinque quaresime all’anno (oltre duecento giorni!), ma “con molta segretezza”, cercando di non farsi notare.
Eppure appariva in buona salute.
Quando, vecchio e malato, qualche persona gli inviava dei dolci, preferiva offrirli ai malati.
Vestiva panni vecchi e rattoppati.
Dormiva di solito seduto sulla sponda del letto, appoggiandosi al muro con le spalle protette dal mantello.
Non stava mai in ozio: nel tempo libero si dedicava ai lavori manuali.
Andava a lavorare nell’orto anche nelle ore più calde del giorno, o faceva altri servizi utili.
I miracoli li fa soltanto il Signore
Si sa che lavorando si corrono dei rischi, anche in convento.
Nel convento di Scandriglia, insieme ad un altro giovane frate, stava lavorando per fare un muro a secco, quando un sasso si staccò e stava per investirlo: “Dove volete andare? Fermatevi là!”, gridò padre Francesco.
Vedendo che il sasso s’era fermato, tra meraviglia e spavento, l’altro frate gli disse che era scampato ad un grave pericolo; sorridendo il padre lo pregò di non dire niente a nessuno.
Lo disse solo dopo la morte del santo confratello.
A Rieti era impegnato con alcuni novizi a sistemare un muro, all’improvviso una grossa pietra, alta più d’un uomo, si staccò e precipitò.
Gli passò sopra. ma non successe niente di tragico.
Al padre Guardiano spaventatissimo confidò che il masso gli era passato sopra come un batuffolo di bambagia.
Quando non fu più in grado di fare lavori pesanti, impiegava il tempo a confezionare corone del rosario o a far crocette di legno o d’osso, oggetti particolarmente richiesti dalla gente.
Un’altra sua caratteristica era l’umiltà.
Il suo aspetto dimesso ispirava devozione.
A Palestrina, una signora gli si inginocchiò davanti e lo ringraziò perché — disse — grazie alle sue preghiere aveva riacquistato la vista.
Il cappuccino le rispose: “Andate via, andate via, che è stato Gesù Cristo”.
Invitava sempre a ringraziare il Signore, e non lui per i benefici ricevuti.
A chi gli domandava come si comportassero i suoi novizi, con un sorriso rispondeva che erano tutti migliori di lui.
Notti in preghiera
“È stato un uomo di grande e continua orazione e unione con Dio”, afferma il suo superiore di Roma.
Perfino nella tarda vecchiaia pregava in piedi o in ginocchio. senza appoggiarsi mai, anche in luoghi solitari e in ore non riservate alla preghiera.
Passava la maggior parte della notte in preghiera.
Infatti, quando tutti dormivano, scendeva in chiesa a piedi scalzi e vi rimaneva fino a poco prima della mezzanotte.
Dopo la preghiera corale notturna, si ritirava nella sua cella. ma poco dopo silenziosamente tornava in chiesa e vi restava fino al mattino.
E c’è chi ha testimoniato di averlo sorpreso davanti al tabernacolo sollevato da terra, con il volto trasfigurato.
Celebrava la Messa sempre con grandissima devozione, con molte pause e con grande preparazione.
Durante la celebrazione fu visto più volte con la corona di spine in testa.
Meditava continuamente e con intensa partecipazione affettiva la Passione di Gesù Cristo.
Tanto da arrivare a chiedere a Gesù di patire qualche cosa per amor suo.
La notte dell’8 gennaio 1923 fu accontentato: uscendo dalla porta del coro, si voltò per prendere l’acqua benedetta, ma avvertì una spinta violenta che lo sollevò di peso e lo sbatté in terra.
Una voce gli disse: “Questa è la croce che ti ho preparata”.
Cadde malamente e rimase zoppo e storpio, fino al punto che non poteva più andare in chiesa né celebrar Messa.
Accettò la situazione con gioia, perché la riteneva una grazia.
Verso la Madonna aveva una grande devozione.
Ogni giorno recitava l’Ufficio liturgico dedicato a lei.
L’immagine sacra della Vergine che teneva appesa nella sua cella gli aveva parlato più volte.
In compagnia degli Angeli
Aveva una confidenza particolare con gli angeli, che pregavano o cantavano le lodi di Dio con lui, anzi la mattina presto erano loro a svegliarlo per cantare i Salmi insieme.
Un giorno, in una preghiera alla Madonna concepita senza peccato, aggiunse la parola “originale”, e gli angeli subito con prontezza ripeterono: “concepita senza peccato originale” [il dogma dell’Immacolata Concezione è posteriore i oltre due secoli].
Gli angeli l’aiutavano in tutto quello che faceva, anche quando pregava o leggeva o lavorava e la notte, quando non riusciva a dormire gli angeli lo sollevavano con i loro canti.
E non erano illusioni, perché le illusioni lasciano le persone tristi, le visioni le lasciano allegre, come è accaduto a lui.
Alcuni giorni prima di morire, fu assalito da una grande arsura, ma rifiutò di bere, in memoria della sete di Gesù morente.
Secondo quanto aveva predetto, il venerdì 2 ottobre 1626, festa degli Angeli custodi, questi all’Ora Nona condussero in cielo quell’umile testimone novantenne che aveva percorso quasi per intero il “secolo eroico” dell’Ordine cappuccino, per l’incontro con il Cristo crocifisso e risorto, Figlio della Vergine Immacolata.